√ Damien Rice, Coro Barbarossa al Teatro Linear Ciak di Milano

√ Damien Rice, recensione del concerto a Milano Teatro Ciak – Rockol.

Damien Rice, il report del concerto a Milano
Una chitarra, appoggiata al centro del palco. “Ma suona da solo, questa sera? Non c’è la band?”, commenta qualcuno, quasi spaventato. Sembra piccolissima, circondata da poche cose – qualche luce, un piano in un angolo. Quando Damien Rice sale sul palco e la imbraccia, illuminato da un solo faro… Leggi tutto

Damien e Coro Barbarossa
Una chitarra, appoggiata al centro del palco. “Ma suona da solo, questa sera? Non c’è la band?”, commenta qualcuno, quasi spaventato. Sembra piccolissima, circondata da poche cose – qualche luce, un piano in un angolo. Quando Damien Rice sale sul palco e la imbraccia, illuminato da un solo faro, sembra piccolissimo pure lui, su quel palco quasi vuoto di fronte grande alla platea del Teatro Linear Ciak, ampia e piena di spettatori.

Eppure gli basta quella chitarra per domarli, per ghermirli e nel buio incatenarli. Il Teatro Linear Ciak non è la Terra di Mezzo di Tolkien; è un posto decisamente più prosaico: un tendone nella periferia milanese, andato esaurito in pochissimo tempo. E nel giro di due canzoni Rice lo domina, con talento, intensità, ironia e tanto mestiere.

Perché ci vuole molto mestiere per tenere una platea come questa, da solo, con la chitarra, per quasi due ore. Il Damien Rice del 2014 torna dopo una lunga assenza dalle scene: a Milano non passa da 7 anni, non pubblica dischi da 8 (“My faded favourite fantasy” uscirà a novembre). Ed è decisamente più consapevole, meno “delicato”, anche più cazzone. E’ proprio “Delicate” la prima canzone per che manda in estasi il teatro. E’ la seconda in scaletta, dopo la nuova “The greatest bastard”. E già li capisci il mestiere: poco materiale nuovo, alternato a molti brani conosciuti; vuoti e pieni che si alternano, come arpeggi delicati a cui si sovrappongono distorsioni da pedaliera sulla chitarra; momenti intimi alternati ad intrattenimento e storielle.

Le prime parole arrivano dopo qualche canzone. Prima un “grazie”, Poi un “Ecco un po’ di canzoni su un po’ di sentimenti. La maggior parte sono bugie”, cui segue una storia su come gli uomini “dovrebbero fare un salto in bagno a liberarsi di un po’ di spermatozoi per capire meglio se gli piace davvero una persona”. Dalla spiegazione poetica alla battutaccia in un attimo.

La sintesi perfetta di questo andamento del concerto è l’uno-due centrale: “Volcano”, in cui dirige il pubblico dividendolo in tre cori, aumentando ritmo e voci, a cui segue “Cannonball” cantata senza amplificazione, con un solo faro in controluce, nel silenzio più assoluto.

E poi gioca con il pubblico: “Faccio tanti errori durare i concerti, tipo chiedere alla gente quali canzoni vuole sentire e da dove viene”, scherza. E si manifestano in sala spettatori da ogni parte del mondo e due spagnoli – madre e figlio – salgono sul palco a cantare “Cold water”, e lei ha pure una bella voce – anche se per un momento ti fa tornare in mente che una volta lì di fianco c’era Lisa Hannigan, ed era un’altra storia, un altro tempo. Ma stasera non c’è nessuno che grida “Where’s Lisa?”, come avvenne nel 2007 al Conservatorio di Milano, ottenendo una risposta tra l’imbarazzato e lo stizzito.

Ha il viso rilassato, stasera Damien Rice. Capell e barba corta, sembra meno arruffato dell’ultimo passaggio a Sanremo, lo scorso febbraio, e non solo per questioni tricologiche. Invita il pubblico ad alzarsi, ad avvicinarsi al palco. E chiude la serata con “My favourite faded fantasy” cui segue una “Trusty and true” – la più forte delle canzoni nuove – aumentata dal milanese Coro Barbarossa, che la rende ancora più potente. Il coro rimane da solo per una “(All I have to do is) Dream” a cappella, poi Damien ritorna e attacca la canzone che “se non me la suona m’incazzo”, “The blower’s daughter”. Il pubblico canta a sguarciagola. E poi, per confermare la sua vena giocosa, attacca “Creep” dei Radiohead, proprio come fece nel suo primo concerto milanese del 2003 quando da quasi sconosciuto fulminò i cuori dei pochi presenti. “This is just for fun”, quasi si giustifica. Ma ne se ne vorrebbe ancora di quel divertimento.

I concerti acustici, in solitaria, sono un’arma a doppio taglio, la noia è dietro l’angolo anche per i più navigati. Ma Damien Rice sa tenere il palco da solo come pochissimi: porta il pubblico in giro come sulle montagne russe, grazie a un repertorio che è sotto la pelle di moltissima gente, ad una forza di interpretazione senza pari e a un dosaggio perfetto di diversi elementi opposti. Non è più di quell’intensità devastante di dieci anni fa: siamo cambiati noi, ma soprattutto è cambiato lui. Ma rimane sempre unico: dopo così tanto tempo, era tutt’altro che scontato. Ora aspettiamo con più fiducia il nuovo album.

(Gianni Sibilla)

SETLIST
· Desafinado
· Rootless Tree
· The Rat Within The Grain
· Coconut Skins
· Colour me In
The Greatest Bastard

Delicate

Woman Like a Man

Elephant

9 Crimes

The Professor & La Fille Danse

Volcano

Cannonball

Older Chests

I Don’t Want To Change You

Cold Water

I Remember

BIS:

Colour Me In

My Favourite Faded Fantasy

Trusty And True (Con il Coro Barbarossa)

(All I Have to Do Is) Dream (Coro Barbarossa)

The Blower’s Daughter/Creep

by Kalooga